Parshat Vayikra (28 marzo 2020)

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Di Rav Ariel J Friedlander

Questo Shabbat cominciamo un nuovo libro della Torah – Vayikra. Il Mishkan (Tabernacolo) è stato costruito, e adesso la Presenza di Dio può abitare fra la gente. La porzione della settimana descrive i 5 diversi korbanot (sacrifici) che devono essere offerti a Dio per mantenere e risanare la relazione tra noi e Dio. Dal momento che il passaggio nel deserto dei Figli d’Israele si è concluso, e il Tempio di Gerusalemme è stato distrutto, non siamo più in grado di portare le offerte di animali e granaglie. Allora come possono queste parole di Torah essere significative al giorno d’oggi in Italia?

La parola ebraica per sacrifici è korbanot. La radice è karav, avvicinarsi o trarre vicino a sé. Per i nostri antenati, questo era il modo di connettersi a Dio, di manifestare il loro desiderio di avere una buona relazione. Dopo la débâcle del Vitello d’Oro, Dio si è resa conto che il popolo aveva un grande bisogno di un senso di connessione fisica, traverso i sensi. Quindi Dio appariva a loro sotto forma di una colonna di fumo di giorno e una colonna di fuoco di notte, che li guidava attraverso il deserto. Dio ha disegnato il Mishkan come un luogo dove la sua Presenza poteva alleggiare fra la gente. E la cerimonia dei sacrifici – i suoni e gli odori degli animali sacrificali, i sacerdoti gustavano la loro porzione, il tatto del grano fra le dita – rendeva tutto molto toccante. Le persone portavano a Dio l’offerta per la redenzione del peccato, l’offerta per l’espiazione della colpa e l’offerta di pace. 

Oggi non abbiamo un Mishkan, e non possiamo eseguire le istruzioni originarie. E nemmeno esiste un Tempio. Infatti, dopo la distruzione, i nostri saggi ci hanno insegnato che possiamo comunque connettersi con Dio, possiamo ancora avvicinarci. Invece di portare le nostre offerte ai sacerdoti in modo che essi possano seguire le dettagliate istruzioni, noi stessi possiamo parlare con Dio direttamente, attraverso le nostre preghiere.

Il Siddur ci dice cosa dire nelle nostre preghiere. Ma questo avviene quando andiamo alla sinagoga. È anche possibile parlare nella nostra vita quotidiana. In questo periodo quando siamo fisicamente distanti gli uni dagli altri siamo fortunati che la tecnologia ci può aiutare a mantenere un contatto sociale. Allo stesso tempo, essendo stati chiusi dentro da molti giorni stiamo vivendo una certa ansietà e tensione. C’è un reale pericolo là fuori e abbiamo paura del suo tocco. Istintivamente ci ritiriamo per proteggerci. Ma, se a causa della paura sacrifichiamo le nostre relazioni, come abbiamo visto con i Figli d’Israele ai piedi del Monte Sinai, possiamo perdere completamente la via. Certo dobbiamo stare attenti alla nostra salute. Ma possiamo anche restare in contatto.

Forse i 5 korbanot elencati nella porzione per questo Shabbat potrebbero corrispondere a 5 parole e frasi che sono parte della vita quotidiana di tutti. Per esempio: per favore, grazie, mi dispiace, ti voglio bene o semplicemente Shalom. Non è facile parlare con Dio, specialmente quando non sei sicura se Dio veramente esiste, o se Dio ascolta. Allora, facciamo un po’ di pratica intavolando conversazioni fra di noi. “Per favore mi dai la tua ricetta della Challah? Grazie per aver condiviso quel tutorial su Zoom! Mi dispiace essere sembrata brontolona. Volevo solo dirti che ti voglio bene. O semplicemente Shalom.” La Tora ci sta insegnando a trovare modi per avvicinarci. I nostri korbanot sono azioni in cui offriamo connessione all’altro. Nel fare esperienza della nostra reciproca presenza. Nella vita dell’altro, potremmo iniziare a notare i segni del fatto che anche Dio è tra noi, e attende di sentire la nostra voce.

Shabbat Shalom